Femminicidio e violenza sulle donne: dinamiche psicologiche
Ogni qualvolta si parla di violenza sulle donne e di femminicidio, mi ritorna in mente il viso angelico e tumefatto di una donna, che con coraggio e implicito rancore, interruppe il mio intervento durante il Corso sulla Psicologia della Difesa Personale. Mi trovavo in provincia di Bologna in qualità di relatore, quando, mentre discutevo una ricerca sui crimini violenti (stupri, aggressioni, omicidi), una donna si alzo e con voce tremante ma decisa, mi chiese:
“Dottore, le sue parole sono molto interessanti, le strategie di prevenzione e di difesa personale, che lei consiglia, mi sembrano allo stesso tempo molto valide, ma come posso io realmente difendermi da un uomo che periodicamente, alternando amore e violenza, rende il mio viso, la mia anima e la mia libertà cosi fragili? Ha parlato di bullismo, elencando le motivazioni che spingono la vittima a mantenere il silenzio (vergogna, paura di ripercussioni, ecc.) ma cosa può fare una donna concretamente per difendersi da un uomo violento? Che cosa posso fare io, che nonostante le diverse denunce in questura, nessuno ha realmente fatto qualcosa concretamente? Lei mi sembra una persona particolarmente attenta e preparata, ma non vorrei che i suoi insegnamenti, restino solo parole, come quelle che ogni 25 novembre (giornata mondiale contro la violenza sulle donne) invadono le bacheche di ogni profilo Facebook. Ho provato in tutti i modi a difendermi dalla violenza fisica e psicologica che il mio compagno mi sottopone, ho denunciato, ho cercato di convincerlo ad andare da uno Psicologo, ma i segni che ho sul viso testimoniano che ogni mia iniziativa è stata fallimentare. Mi scusi per il tono e per il mio intervento. Grazie”.
Ricordo ancora i lividi di quella donna, “l’immobilizzazione” del pubblico, il silenzio che lasciava spazio alla voce indiretta della violenza.
Ripresi la parola, ringraziandola per l’intervento e per l’induzione alla riflessione, ma il silenzio e l’atmosfera dell’aula erano cambiati. Ogni partecipante sembrava ricercare dentro di sé una risposta esaustiva che potesse rispondere alle domande formulate da quella donna. L’intervento aprì un’analisi su quali sono i comportamenti per difendersi dalla violenza coniugale, che cercherò sinteticamente di indicare.
Come difendersi e come contrastare la violenza sulle donne
Il fenomeno preso in analisi è estremamente complesso, poiché è il risultato della somma di dinamiche di coppia, evoluzioni relazionali, problemi individuali, che possiamo sintetizzare in amore patologico – amore malato.
Difendersi, prevenire e uscire da una relazione patologica non è semplice, spesso la vittima ha una forte paura a liberarsi delle catene, spera che le cose cambino, che la violenza passi. Nella maggior parte dei casi però le cose peggiorando, perché la speranza è solo un pensiero ottimistico e nella maggior parte dei casi, fallimentare.
Che cosa fare quindi per bloccare la violenza? Come uscire da una situazione relazionale conflittuale e abnorme? Il primo intervento da fare è su se stessi, fermarsi e prendere consapevolezza della violenza fisica e psicologica subita, “rispolverare” l’idea che si aveva dell’amore e intervenire sulla propria autostima, suoi propri diritti assoluti. È facile osservare donne che si colpevolizzano, che hanno sviluppato un forte senso di accettazione incondizionata, che giustificano i comportamenti ingiustificabili del proprio partner. Spesso si ammette di subire violenza ma poi non si denuncia, non s’interviene e in questo modo si alimenta la dinamica disfunzionale, legittimandola indirettamente. In tempi passati, solo il 7% delle donne denunciava la violenza coniugale, oggi invece, sono numerose le donne che esauste, si rivolgono all’autorità e ai centri anti-violenza, ma le statistiche dimostrano che ancora c’è molto da fare, e che la violenza sulle donne è un fenomeno che sopravvive nel silenzio, nella paura, della debolezza e spesso prende il nome di “amore”.
Una volta presa consapevolezza che la violenza non si fermerà, che l’amore si è trasformato in schiavitù, che la relazione sta precludendo ogni aspetto di vita, diventando pericolosa, bisogna denunciare. Il pensiero che blocca molte vittime è il seguente: “se denuncio mio marito, lui potrebbe peggiorare; potrei perdere i miei figli; la casa”. È indubbiamente un rischio, ma è meglio cercare una soluzione definitiva o continuare a subire in silenzio, offrendo ai propri figli un clima conflittuale e predisponendoli a eventuali problematiche di tipo psicologico o psichiatrico? Non è forse questo il rischio più grande? La letteratura scientifica ha ampiamente dimostrato che un bambino che cresce in un ambiente problematico, violento, ha maggiori (e grandi) rischi di sviluppare dei comportamenti a rischio, è indotto a predisposizione psicopatologica. Quindi, per quanto difficile è denunciare il proprio compagno, denunciare resta l’unica soluzione, per difendere il proprio benessere e quello dei propri figli.
Una ricerca che prende in esame l’anno 2012 dimostra che circa 2mila uomini hanno ricevuto il divieto di avvicinarsi alla compagna e secondo il ministero dell’interno, l’80% delle persone sottoposte a tale limitazione, la rispetta. È indubbiamente evidente a tutti noi, che servono leggi e provvedimenti più concreti e tempestivi per contrastare la violenza, ma la prevenzione e l’intervento per debellarla deve iniziare anche da chi la subisce. Ogni forma di violenza, d’ingiustizia, di sopruso, non si risolve mai con la passività e con il silenzio, bisogna “urlare ad alta voce”, coinvolgendo le istituzioni, la scuola, le autorità, la politica. Urlare ad alta voce significa ascoltare la voce interiore, farsi coraggio e chiedere aiuto, per bloccare e prevenire eventuali sviluppi drammatici.
La violenza psicologica
Quando parliamo di violenza, tendiamo a intenderla unicamente sotto forma di violenza fisica, tralasciando e sottostimando un’altra forma di violenza più nascosta, meno evidente, difficile da diagnosticare: la violenza psicologica. Questa forma di violenza, se pur non produce ferite o lividi evidenti, “colpisce l’anima”, debellando silenziosamente l’autostima, l’energia, il benessere della persona. Chi strumentalizza la violenza psicologica, usa parole e atteggiamenti per denigrare, sminuire e ferire il partner, cercando di colpevolizzarlo per ogni problematica famigliare. Spesso l’aggressore proietta sul partner i propri fallimenti, per allontanare dalla coscienza la propria responsabilità. La violenza psicologica si esprime anche attraverso comportamenti autoritari e di controllo ossessivo, che nascondo sempre una gelosia morbosa. Spesso è evidente un’intenzione di allontanare la donna da ogni contatto con il mondo esterno, inducendo gradualmente un isolamento forzato dalla famiglia e dagli amici.
La violenza psicologica si esprime inoltre attraverso minacce, punizioni e spesso annuncia lo sviluppo di quella fisica. Questo tipo di uomini ritiene che il partner sia di loro proprietà, esigendone il totale controllo e la totale gestione, frequentemente manifestano evidenti sbalzi di umore e uno scarso controllo degli impulsi. Sono persone che se pur non hanno un disturbo diagnosticato, spesso convivono con conflitti mai risolti e ritengono il loro comportamento conseguenza della negligenza del partner. Il meccanismo di difesa psichico è la proiezione, che consiste nel spostare sentimenti o caratteristiche proprie del sé negativo sull’altra persona, la quale sarà percepita come ostile e responsabile di ogni eventuale conflitto.
Cercare di controllare, sminuire e colpevolizzare il partner è l’obiettivo principale, e quando le minacce dirette, le aggressioni verbali, perdono l’efficacia, la persona può ricorrere a modalità circolari, indirette, come minacciare il partner di suicidio. La minaccia di suicidio ha da un lato la finalità di impedire un comportamento (denunciare la violenza, terminare la relazione), dall’altro lato, mira a colpevolizzare il partner, a indurlo a sentirsi responsabile delle ipotetiche azioni drammatiche. Chiaramente è difficile individuare precisamente gli atteggiamenti e le modalità relazionali e conflittuali che manifestano una chiara violenza psicologica, ma se la relazione produce un’evidente diminuzione del benessere, una frequente umiliazione, colpendo la propria autostima, è importante fermarsi e riflettere sulla qualità della relazione e sulle ragioni che spingono a continuare la relazione. In molti casi si continua a resistere in una relazione insoddisfacente o disfunzionale poiché si è sviluppata una dipendenza affettiva che si distanzia molto da una sana relazione d’amore.
Conclusioni
La violenza sulle donne ha diverse forme e utilizza diverse modalità relazionali, e definita spesso violenza coniugale, violenza domestica e in casi più gravi si evolve in femminicidio. È un fenomeno multifattoriale e per questo l’intervento per contrastarla è complesso e necessità di un lavoro di rete, tra professionisti, istituzioni e autorità. Indubbiamente non può essere sconfitta con il silenzio, per questo invito sempre il lettore che vive una situazione problematica a chiedere aiuto alle istituzioni o ai professionisti, che meglio potranno sostenere la persona in questo percorso.
Consigli
- Quando subisci una violenza, non colpevolizzarti e non giustificare il tuo partner (non esistono motivi per i quali tu debba subire violenza).
- Se il tuo partner è frequentemente violento, manifesta scatti d’ira ingiustificati devi chiedere aiuto e allontanarti da lui per il tuo e per il suo benessere, (il partner potrebbe soffrire del disturbo esplosivo intermittente).
- Se non sai come comportarti per affrontare una situazione di violenza, chiudi aiuto a diversi professionisti o rivolgiti ai centri anti-violenza (sono gratuiti.).
Avvertenze
- Se continui a “chinare il capo” pensando che questo diminuirà le violenze, paradossalmente e indirettamente, le alimenterai.
- Non sei responsabile della situazione di difficoltà che ti trovi, lo sarai se non farai qualcosa per risolverla.